giovedì 5 marzo 2015

LEAVE IT ALONE
AND IT WILL SOON BE HISTORY



Noi umani tendiamo a drammatizzare ed a rimuginare su di un mucchio di cose spesso irreali. La tendenza innata ad esagerare solitamente si concentra su cose negative e preoccupanti, qualche volta forse anche su aspetti positivi della nostra vita.

Ma di certo quello che noi reputiamo pericoloso, nella nostra mente puó a tratti assumere dimensioni enormi e minacciose. 

Quello che tutti dovrebbero sapere a riguardo é che esiste un piccolo segreto dietro alle preoccupazioni persistenti ed alle paure che volentieri assalgono la nostra mente. Questo segreto riguarda il perché dell'insorgenza di pensieri non graditi e delle conseguenti azioni che mettiamo in campo allo scopo di alleviare il senso di incertezza che essi generano. 

Il fatto di comprendere che le nostre preoccupazioni sono spesso irreali e generate da un meccanismo perverso, cambia radicalmente il nostro approccio nei confronti di situazioni spiacevoli che possono nascere quotidianamente nei nostri crevelli.

Si parla qui, ovviamente non solo di preoccupazioni irreali, ma in misura ridotta anche di preoccupazoni "reali". (spiegheró in seguito il perché delle virgolette)

Esistono momenti nei quali, una mole esagerata di stress o di altri eventi negativi abbassi sensibilmente il nostro stato emozionale. Spesso e volentieri si tratta di cause non direttamente identificabili, legate a concatenazioni di eventi piccoli ma efficaci nel farci sentire ansiosi. 

L'istinto di sopravvivenza, il quale dovrebbe spingere ogni essere vivente a compiere la propria missione sula terra nella maniera piú utile e piacevole possibile, viene in questi casi ingannato da un.. chiamiamolo "gap evolutivo".

Questo GAP rappresenta la differenza che intercorre tra ció per cui il nostro istinto é "programmato" sin dalla preistoria e le moderne situazioni alle quale esso non é abituato, interpretandole male. 

Un esempio potrebbe essere quello del leone e della gazzella, esempio nel quale l'istinto di sopravvivenza lavora correttamente ed in maniera utile per entrambi. Spinge il leone alla sopravvivenza catturando la gazzella. Qualora ci riesca, esso proverá piacere, qualora non ci riesca proverá frustrazione. La stessa cosa vale per la gazzella, la quale dovrá fuggire per salvarsi, altrimenti presto non proverá piú nulla.

Ció che attiva l'istinto di entrambi é il dolore. Nel caso del leone si tratta della fame e del timore di rimanere senza cibo, nel caso della gazzella si tratta della paura di morire sbranata. 

La paura serve dunque per attivarci in situazioni di pericolo e portarci in salvo (ove ció avviene con successo una scarica di endorfine viene rilasciata a scopo di premiare l'attivitá riuscita e tale esperienza di piacere va dunque a rinforzare nel futuro il comportamento eseguito, poiché risultato funzionale allo scopo della sopravvivenza.)

Sin qui tutto funziona egregiamente, dipendentemente dal grado di intelligenza di chi é coinvolto.

Nella societá moderna in cui viviamo, accade invece di frequente che situazioni di svariato genere non corrispondano ad un pericolo mortale, ma vengano interpretate come tale dal cervello umano. Questo avviene erroneamente, poiché pur comprendendo che il fatto di essere ad esempio lasciato dalla moglie non rappresenti un immediato pericolo di morte, la nostra mente, a causa di un forte conflitto tra l'accaduto ed i nostri valori indispensabili, prova una paura tale da malinterpretare la paura conseguente con quella della gazzella nel momento in cui vede il leone.

L'istinto di sopravvivenza dunque si attiva ugualmente, ma non riesce a "fuggire dal leone" poiché si tratta di una situazione irrisolvibile. 

Si attiva dunque tale istinto, ma non trovando un "nemico reale" da combattere, ne cerca uno sostitutivo. Ed é qui che inizia tutto quello che in alcuni casi diventa addirittura un pensiero ossessivo, una preoccupazione esagerata ed irrazionale. 

Se comunichiamo efficacemente al nostro istinto di sopravvivenza che NON CI INTERESSA stare a questo gioco, la preoccupazione si estinguerá molto presto. Se invece cediamo a tale spinta, ed iniziamo a rimuginare su di essa, allora ció inizialmente calmerá l'ansia, ma non risolverá il problema reale, che, come sappiamo é irrisolvibile, almeno in quel modo.

A questo punto il pensiero si ripresenterá in maniera ancora piú intensa, richiedendo altre rassicurazioni semiefficaci a breve termine.

Questo é il procedimento secondo il quale si generano le cosiddette nevrosi ossessive. Esse possono ad esempio rendere una persona schiava di situazioni in cui essa si sente costretta a verificare ossessivamente il suo stato di salute, senza sapere che il vero problema é tutt'altro.

Puntualmente nuove preoccupazioni emergono, spesso corredate da sintomi "finti" ma di considerevole entitá, i quali servono ad alimentare il ciclo vizioso il quale apperentemente dovrebbe dare sollievo all'ansia, ma che in realtá é fuorviato dal suo reale scopo e dunque bloccato come un CD graffiato.

Che cosa fare in un caso del genere? 

Occorre non rimuginare cercando di rassicurarsi sulle proprie esagerate preoccupazioni, bensí bloccarle sul nascere e dedicarsi ad attivitá positive, ugualmente capaci di provocare piacere. 

Nella pratica si tratta di dirigere l'istinto di sopravvivenza su qualcosa di utile, sfruttandone l'intensitá, e spesso grazie a ció non solo eliminando le preoccupazioni bensí raggiungendo traguardi realmente eccezionali e gratificanti, i quali calmano e premiano l'intero meccanismo in maniera piú che sufficente, mettendolo a tacere. (poiché risultati REALMENTE utili alla sopravvivenza)

Il modo di farlo non é "NON PENSARE" ad una preoccupazione, ma la consapevolezza che LASCIANDOLA PROVVISORIAMENTE IN UN CASSETTO essa si ridurrá sino a scomparire in breve tempo, come un bambino capriccioso, il quale, lasciato solo con la propria rabbia dopo non molto cessa di fare i capricci. 

LEAVE IT ALONE AND IT WILL SOON BE HISTORY !

È questo di cui dovete rendervi conto quando paure e preoccupazioni vi assalgono. E mentre vi dedicate ad altro, entro poco tempo vi accorgerete che, riguardando nel cassetto in cui avete riposto temporaneamente il pensiero negativo, non c'é piú nulla. 



domenica 15 febbraio 2015

MENO È PIÙ
IL SEGRETO PIÙ TRASCURATO


 
Fu ormai 15 anni fa, quando, salito sul treno alla stazione di Bolzano, la mia vita si arricchí della piú poderosa e formativa esperienza. Mi stavo dirigendo in piena notte a Torino, dove la mattina dopo mi sarei arruolato nell'Arma dei Carabinieri, iniziando il 243esimo corso della famosa Casema Cernaia. 

Poco sapevo rispetto a ció che mi avrebbe atteso una volta arrivato lí, tra quelle mura. Mi sentivo "giá carabiniere"... anche se presto questa convinzione dovette lasciare il posto alla cruda realtá di un addestramento militare non necessariamente tra i piú "soft". 

Una volta varcata la soglia della caserma, venni mandato ad attendere in un'apposita saletta. Finalmente mi chiamarono per la "vestizione", per l'immatricolamento, per il radicale taglio dei capelli. Capí che NON ERO ASSOLUTAMENTE "giá carabiniere" e capí anche che questo non sarebbe stato un luogo nel quale rilassarsi, o, peggio atteggiarsi a qualcosa che non fosse consono al mio grado militare, ovvero in quel momento al di sotto dello zero.

I giorni passavano tra una sfida psicologica e l'altra, che sia la sveglia alle sei di mattina, le marce estenuanti in mimetica sotto il sole cocente di un torrido agosto piemontese, le susseguenti file interminabili per giungere finalmente a tavola, dove mi attendevano pietanze piú che semlici, e bevande poco piú gustose dell'acqua. 

Il primo mese trascorse tra marce, contrappelli, attese, paura di sbagliare e di essere punito, tredici commilitoni che russavano in camerata e divieto di tutto ció che scandiva la vita di un civile. 

Fu proprio in questo periodo, specialmente nel primo mese in cui non lasciammo mai le mura della caserma, che scoprí in me un'attitudine di addattamento che avrebbe segnato per sempre la mia vita. 

Ero implotonato sotto il sole dopo una lunga marcia, completamente sudato ed assetato. Ma il Tenente voleva farci un lungo "cicchettone" sul modo in cui marciavamo. Allora tentai di sopportare l'insopportabile, chiudendomi in me stesso e creando un mondo ristretto, interiore, nel quale ero libero. Precisamente mi immaginai che dentro di me, da qualche parte, ci fosse un luogo protetto, piccolo ma sicuro, nel quale con i pensieri potevo muovermi ed ottenere quella sensazione essenziale di libertá che per ovvi motivi nel mondo esteriore mancava e non prometteva di tornare da lí ad un bel po. 

Senza farrmi notare estrassi una piccola "pasticca Leone" dalla tasca e la misi in bocca. Si tratta veramente della piú piccola caramella imaginabile, ma il pensiero che sulla scatola in stile ottocentesco vi fosse incisa la frase "DISSETANTE" mi fece convincere che essa poteva darmi sollievo. La sensazione fu fantastica. Gustavo lentamente la caramella e mi immaginavo vividamente che da essa fuoriuscissero fiumi di aranciata. Per la mia gioia, la sensazione che ne derivá fu anche piú intensa rispetto ad ogni bicchiere di aranciata che io avessi mai bevuto. 

Capii allora ancora meglio che la privazione permetteva in realtá di accedere a livelli di soddisfazione molto elevati, qualora si presentasse una anche minima parvenza di sollievo, nella vita quotidiana del non-militare completamente trascurabile, come ad esempio una caramellina.


I mesi passarono ed io continuavo ad eseguire tutti gli ordini, spesso realmente impegnativi sia fisicamente che psicologicamente. Ma non li percepivo come tali. La mia mente ormai era saldamente ancorata ad una forma di minimalismo e per di piú, viaggiava oltre i muri di quella caserma, mentre il corpo stava fermo, sotto il sole o la pioggia, con un fucile d'assalto di 5 chilogrammi in mano. Ed in tutto questo, io stavo bene, paradossalmente meglio che nella vita non militare. 

Mentre marciavo ascoltavo musica nella mia mente, e mi piaceva, perché il ritmo dei passi la amplificava. Mentre attendevo implotonato all'alzabandiera, iniziai a studiare la psicologia dei miei commilitoni, i quali, ogni tanto svenivano, soprattutto quando non avevano fatto in tempo a fare colazione. Quasi puntualmente, per autosuggestione, dopo il primo, anche altri due, tre, seguivano la sua sorte ed iniziai a pensare sempre piú, ad intravvedere collegamenti che nel "mondo libero" non avevo mai scorto, e la cosa mi divertiva sempre di piú, facendo trascorrere l'intero periodo addestrativo senza alcun problema, alcuna punizione, e molto molto "lavoro intellettuale interiore".

Quando la scuola terminó, e uscimmo per recarci verso i nostri luoghi di destinazione, in treno verso l'Alto Adige c'erano altri 4 Carabinieri del mio corso. Uno aveva un CD-Player, e mi fece ascoltare un pezzo dei QUEEN. 

Non esagero se affermo, non avendo piú sentito musica da molto tempo, visto che in caserma i Walkman e radioline erano vietati, ebbi uno scoppio di gioia incredibile, una sensazione divina nel sentire quelle note cosí intensamente nelle mie orecchie. 

Pensai ancora per molto a tutto ció, al fatto che in tutti i mesi trascorsi a Torino non avevo nemmeno mai fumato, mai bevuto una birra, e mai, se non durante qualche libera uscita, ammirato qualche bella ragazza. 

E notavo come tutte queste cose, comprese le ragazze sulle banchine delle stazioni che attraversavamo, mi apparivano molto molto piú belle di prima, quando tutte queste cose piacevoli erano semplicemente parte della quotidianitá.

Ne deriva che in realtá, MENO È PIÙ. MOLTO DI PIÙ.

Perché quello che abbiamo non aumenta la nostra felicitá in maniera proporzionale alla quantitá e qualitá di ció che possediamo, ma al valore che ad esso viene assegnato dalla nostra mente. 

Valore che sará maggiore, ogni volta che ci priviamo di proposito dei nostri vizi, non allo scopo di autocastigarci, ma per accedere ad un livello superiore di felicitá, ogni volta che incontriamo un'altrimenti piccola ed invisibile occasione di provare piacere.

Giancarlo Evangelisti
 

venerdì 30 gennaio 2015

LIFE EXTENSION
 CHE COSA C'È DA SAPERE 


illustrazione in scala 1:87 realizzata da Giancarlo Evangelisti



Vivere in eterno. Una speranza che perseguita le menti dell'umanitá sin dalla notte dei tempi. Ma perché non rassegnarsi al volere della natura e vivere la propria vita senza sperare nell'impossibile? Probabilmente perché siamo programmati per sfidare il destino, e, considerando che in molti campi ci siamo riusciti con notevole successo, non é nemmeno escluso che perlomeno qualche progresso nel campo dell'estensione della vita lo faremo (visto e considerato anche il balzo in avanti compiuto per quanto riguarda l'aspettativa di vita media). Perlomeno sarebbe auspicabile un piú intenso studio dei fenomeni che circondano il decesso, come ad esempio le "near death experiences". 

Questo aiuterebbe enormemente a capire che cosa ci attende, una volta che veniamo "richiamati" lí dove non sppiamo. 

Ultimamente alcuni flebili tentativi di avvicinarsi alla soluzione dell'unico, piú grosso mistero irrisolto della scienza umana, vengono fatti. Recentemente uno studio condotto dal Dr. Parnia in Inghilterra ha analizzato una serie di pazienti clinicamente morti, tentando di stabilire se ci fosse una qualche attivitá cosciente oltre il punto dell'arresto cardiaco. Piuttosto confusi sono stati i risultati, pur presentando alcuni interrogativi ai quali ora bisognerá tentare di rispondere. Un paziente, infatti, dopo 3 minuti dalla cessazione di ogni attivitá cerebrale, una volta rianimato, rappresentava con accuratezza il ritmico insorgere di un suono elettronico proveniente da un macchinario nella sala. Non avrebbe potuto sentirlo, ma l'ha sentito certamente, vista la descrizione combaciante al 100% con la realtá. Altri pazienti raccontano l'esperienza standard, ovvero quella che dopo l'avvenuto decesso essi si sentono distaccati dal corpo, alzandosi in volo e vedendo la scena dall'alto, immersi in una profonda tranquillitá, per poi condursi verso una non meglio specificata "luce", spesso accompagnati per mano da parenti precedentemente dipartiti. 

Questo tipo di esperienza ricorre da millenni nei racconti di persone provenienti dai piú svariati background culturali e religiosi. Seppur nell'esperimento sopra menzionato erano stati posizionati degli adesivi "attirasguardi" visibili solo dall'alto nella sala di rianimazione, NESSUNO dei poi rianimati ha riferito di averli visti. Un risultato di pareggio tra il "esiste una vita dopo la morte" ed il "non esiste" non porta a molto. 

Fatto sta che la scienza ritiene che la coscienza umana non sia altro che il prodotto della complessa rete neurale del cervello umano, la quale, una volta "spenta" non puó piú lavorare cessando dunque ogni attivitá cognitiva. A questa ipotesi largamente sostenuta si oppone la visione degli scienziati "postmaterialisti", i quali ipotizzano invece che il cervello umano sia una sorta di ricevitore per la coscienza che proviene dall'esterno. Mentre gli uni spiegano che in caso di malattie degenerative, come ad esempio l'alzheimer, il progressivo decadimento della materia genera la perdita delle facoltá cognitive, gli altri sostengono che invece in tal caso si guasta si il "ricevitore", mentre la coscienza, proveniente da "fuori", rimane intatta. E di nuovo entrambe le correnti pareggiano nella gara delle ipotesi sul dopo-morte. Per chi in una situazione di tale incertezza non vuole comunque arrendersi occorre correre ai ripari, perlomeno prolungando la nostra vita terrena nel miglior modo possibile, nella speranza che presto la scienza sappia darci delle risposte univoche o come minimo riesca a migliorare ancora sensibilmente il nostro potenziale di sopravvivenza. Non é infatti escluso che nei prossimi anni qualcosa di importante si muova nel campo della LIFE EXTENSION, l' "ESTENSIONE DELLA VITA". 

Da menzionare in questo frangente l'iniziativa del magnate russo Vladimir Itskov, il quale, atttraverso il suo progetto "initiative 2045" mira a trasferire il cervello umano su di un corpo non biologico entro a punto il 2045. Oltre tremila scienziati stanno lavorando attualmente a questa iniziativa che, per ora, non é stata ne screditata ne esaltata dal mondo della scienza. Il congelamento crionico, inoltre, ovvero il "farsi congelare" a morte avvenuta nella speranza di essere riportati in vita quando la scienza sará in grado di farlo, esiste ormai da quarant'anni. 

Anche qui, la scienza non commenta. Infatti, non essendo dimostrato che la coscienza viene generata dal cervello, non é nemmeno chiaro se lo stesso, opportunamente conservato e rivitalizzato, possa "risvegliarsi" o meno. 

Ci sono poi innumerevoli tentativi di allungare la vita umana attaverso l'alimentazione, lo sport ed altre attivitá. Qui siamo di fronte ad un campo vastamente "infiltrato" dal marketing e dal profitto. Pertanto risulta molto difficile distinguere dove si muova il confine tra l'utile e l'inutile, tra il vero ed il falso. Di certo c'é semplicemente una cosa: Occorre, premesso che lo si voglia, mantenere l'organismo funzionante piú a lungo possibile, secondo quando la SCIENZA UFFICIALE ed il nostro INTUITO ci suggeriscono, facendo di tutto per giungere, se Dio vuole, ad un momento storico nel quale l'umanitá come minimo non dovrá piú temere la morte perché ne avrá compreso meglio le dinamiche e nel migliore dei casi abbia realmente iniziato a mantenere in vita o a rivitalizzare con successo organismi umani.


domenica 18 gennaio 2015

IL TAXISTA DI BERLINO EST
Un racconto di Gian-Carlo Evangelisti

illustrazione in scala 1:87 di Gian-Carlo Evangelisti



"Alexanderplatz bitte ! " .. quante volte lo aveva sentito.. questi Berlinesi dell'ovest che quando ottenevano un visto di una giornata entravano nel settore est della città e attirati dalla birra a basso prezzo tornavano su quattro zampe al posto di confine.. nel suo Taxi.. quasi ogni sera.....

La DDR non era il posto dei suoi sogni, era nato negli anni 40, Erwin, il furbetto taxista che da qualche anno ormai tirava avanti nemmeno troppo male nella restrittiva società pianificata della Germania est... Infatti la sua zona, compresa tra l'Alexanderplatz e Prenzlauer Berg, permetteva di incassare un sacco di mance, le quali venivano lasciate al taxista dai tedeschi dell'ovest, che quando entravano per un massimo di 24 ore nella zona oltre il muro, dovevano cambiare per forza 25 marchi e spenderli interamente sul posto, prima di riattraversare il confine, rigorosamente entro mezzanontte.

Erano anni ormai che Erwin campava con qualche mancia di qua e di la, sigarette occidentali ed altri doni lasciatigli da ospiti di Berlino ovest. Erwin non aveva famiglia, i suoi genitori erano morti in un bombardamento alleato nel 1944. Nulla lo trattenne nella DDR, se non fosse che anch'egli, come tutti gli altri tedeschi orientali, non potesse lasciare il paese socialista, blindato da muri e fili spinati, nonchè da VOPOS, i temibili poliziotti della VOLKSPOLIZEI, i quali non esitavano a sparare qualora qualcuno tentasse di superare il muro. La mente di Erwin navigava costantemente attorno all'argomento della fuga. Tentava da anni di ordire una trama per lasciare l'oppressiva società di oltrecortina e di levare finalmente le "tende".. ristabilendosi all'ovest. Sognava di vedere Londra, Parigi, Roma, Amburgo con le sue grandi navi che partivano per ogni dove e che era così vicina... ma così lontana allo stesso tempo....

Soprattutto le allegre scampagnate dei "turisti ad ore" che accompagnava col suo taxi lo facevano sentire sempre più triste. Voleva anch'esso condurre una vita spensierata, senza dover temere di pronunciare qualche parola sbagliata dal panettiere o dal parrucchiere e senza quegli omini con l'impermeabile ed il cappello alla "Dick Tracy" che, in giro per la città con il loro giornale in mano,  rappresentavano la versione umana tra le cimici della STASI, ascoltando, osservando e fotografando di tutto pur di identificare "nemici del popolo" in ogni angolo e spesso, anche lì dove non ce n'erano..

Era semplicemente stufo. Una sera di dicembre, la nebbia offusca la notte mentre Erwin attende i clienti di un bar che devono essere velocemente trasportati al posto di confine. Sono le 23:44, quando questi escono dal locale e barcollando salgono sul taxi ordinando di iniziare la corsa. Sono due imprenditori di Monaco, uno porta un Rolex, l'altro non ha l'orologio ma sa benissimo che sono in ritardo.. "Più veloce ! Più veloce !!" Erwin fa quello che può mentre l'uomo vicino a lui si toglie il rolex, e lo mostra all'altro, spiegandogli il sistema "DATEJUST"..

Si nota già da lontano la sbarra bianco-rossa che delimita il confine. I due ubriachi si ricompongono quanto meglio possono, il taxi si ferma. Ringraziano, pagano lasciando ovviamente una bella mancia, e scendono. La serata è andata. 

Erwin riaccende il motore della sua Wartburg e torna verso casa. Mentre i lampioni lungo il vialone illuminano a tratti l'abitacolo dell'auto, il suo occhio cade su qualcosa che luccica lì sotto, proprio sotto il sedile. "Dio mio, il Rolex!" Le gomme della Wartburg si consumano in una stridente frenata. Cosa fare adesso? I due turisti sono certamente già oltre confine e lui... di questo orologio non può fare altro che tenerselo. Un oggetto del genere nella DDR, sul mercato nero, ovviamente, può fruttare un sacco di soldi. Talmente tanti che egli potrebbe letteralmente smettere di lavorare. Erwin ci pensa per un po mentre la Wartburg sputacchia nuvolette di gas verso l'asfalto ghiacciato dell'immenso vialone deserto. Erwin non è un idiota, ma nemmeno un delinquente..  Che fare dunque di questo non desiderato colpo di fortuna? Se la VOLKSPOLIZEI lo becca con quell'oggetto, magari mentre tenta di rivenderlo, questo certamente decreterebbe la sua fine, perlomeno per un bel po di anni...... 

Erwin gira il volante, Erwin accellera. Erwin ha un piano. 

La macchina corre veloce verso il luogo in cui ha lasciato i due turisti. 

Erwin ha un piano..

Mentre la sbarra della libertà si avvicina, il semaforo a relais lampeggia lentamente ed il VOPO armato fino ai denti si avvicina il cuore di Erwin batte come un martello pneumatico... e se questo non si lasciasse corrompere? Se nonostante il valore immenso di questo Rolex egli rifiutasse di lasciarlo passare il confine? Sarebbe realmente la fine. Erwin apre il finestrino. Il VOPO chiede stizzito che cosa ci faccia un taxi della DDR sulla corsia di espatrio. Come un fulmine la mente di Erwin lancia la miglior risposta che egli abbia mai potuto dare in un frangente del genere: "Un cliente dell'ovest ha dimenticato questo nel mio taxi, sicuramente verrà a cercarlo domani... volevo riconsegnarlo.. a voi..." Il militare scruta a pupille allargate l'orologio dal valore inestimabile. Balbetta: "Bene signore.. il fatto è che noi non siamo autorizzati a prendere in consegna oggetti trovati... e poi.. a quest'ora.. il comandante non c'è... e io.... non....." "Ma il mio cliente verrà a cercarlo domani mattina, proprio qui, ne sono sicurissimo"! Per favore, lo tenga lei, anche in maniera informale. Io non mi sento sicuro con un oggetto del genere tra le mani, Lei è un uomo dello stato... lo prenda e lo tenga in custodia"

... Il poliziotto accetta dopo alcuni tentennamenti, non senza qualche "pensierino di tipo egoista.." ed Erwin gira la macchina. 

Sono le 2:00 della notte quando la Wartburg di Erwin si avvicina di nuovo al posto di confine. Di guardia c'è sempre lo stesso militare, il comandante è ormai rientrato, lo si nota dalla Lada della Volkspolizei senza lampeggiante parcheggiata accanto alla casetta di picchetto. Il militare ferma la macchina, mentre il comandante esce assonnato dal suo piccolo ufficio e si avvicina. " Apra la sbarra, per favore, mi faccia passare!" esclama Erwin fingendosi fortemente ubriaco. Il militare sente i passi del comandante che si avvicinano scricchiolando nella neve.. potrebbe arrestarlo il nostro Erwin.. sia perchè è ubriaco, sia per via di quella sua impertinente richiesta di aprire quella sbarra e lasciarlo espatriare.  Ma incriminare un ubriaco... sarebbe in definitiva stato inutile e poi..........................ehm.......... I passi dello stanco comandante si fanno sempre più intensi quando di colpo si fermano e si udisce una bestemmia. I passi si allontanano ed il comandante torna in ufficio. Ha dimenticato l'accendino. 

"vada, passi veloce, e non si faccia mai più vedere, maledetto !"esclama il militare, 

.....................mentre chiude gli occhi e stringe forte il Rolex nella tasca del mantello....

domenica 11 gennaio 2015

PERCHÈ SCRIVERE UN BLOG
E NON MONETARIZZARLO




Da quando esiste internet, c'é sempre stato chi si é domandato come poter utilizzare quest'enorme risorsa per incrementare il proprio potenziale di sopravvivenza.

I tentativi per farlo, nella maggiorparte sono rappresentati dalla creazione di negozi online, siti di nicchia da monetarizzare attraverso la pubblicitá o di tentativi piú o meno legali di vendere ad altri "sistemi per diventare ricchi", i quali riescono purtroppo ad annebbiare la mente delle persone sino al punto tale da spingerle ad acquistare e-books da oltre 100 euro, per sentirsi raccontare idee che l'autore stesso sa non essere applicabili alla realtá. (ecco perché tenta di venderle)

Il blog monetarizzato, ovvero quello che contiene informazioni spesso vaghe e vuote, all'unico scopo di ottenere click su questo o quel banner pubblicitario é uno degli esempi come NON dovrebbe essere ció che si pone online. 

Ma allora.. come fare a ricavare qualcosa di redditizio da internet? Come??? 

La risposta non é semplice, bensí molto astratta e variegatamente articolata. Chi lo desidera e ritiene di essere dotato di sufficiente apertura mentale per potere comprendere ed applicare ció che sto per scrivere, puó approfondire il seguente articolo ed applicare questo sistema con successo. Ma deve sin dall'inizio essere chiaro che la "monetarizzazione" non deve essere contemplata ne perseguita attivamente. Infatti, i vantaggi dello scrivere un blog sono talmente tanti e distribuiti su di un talmente variegato campo, che non é possibile dire in che modo il nostro blog ci faccia guadagnare. 

L'unica cosa certa é che un blog, scritto con assidua frequenza e, soprattutto, dai contenuti utili e positivi incrementa enormemente la nostra qualitá di vita. Che sia direttamente oppure molto, molto indirettamente. 

Innanzitutto dobbiamo sfatare il mito che il nostro blog, per avere successo, debba essere "di nicchia", ovvero concentrarsi esclusivamente su di un solo argomento. Certamente non é un idiota chi scrive su di un solo argomento, tuttavia un blog puó, anzi DEVE venire dal cuore, e rappresentare in prima linea una valvola di sfogo della nostra creativitá.

L'importante é creare del contenuto che possa essere utile agli altri, poiché, la prima regola che dobbiamo considerare, é che il "sistema umanitá" ci premia solamente se apportiamo del valore ad esso. 

Ed é su questo che si basa in realtá tutto il pensiero qui esposto. DANDO ai lettori, ovviamente in maniera TOTALMENTE gratuita, otteniamo dei vantaggi. Senza sapere quali saranno esattamente. Per chi é un po precisino e ritiene che al mondo TUTTO vada pre-calcolato, ho una buona dose di rassicurazione da concedere:

"Dal momento in cui SAPPIAMO con matematica certezza che al mondo NULLA é sicuro, la forma piú alta di pianificazione risiede nel fare qualcosa SENZA darsi un obbiettivo preciso, sapendo solamente che IN QUALCHE MODO dobbiamo ottenere dei vantaggi da ció che facciamo"

È su questa idea (francamente anche MOLTO calcolatrice) che si basa il principio del BLOG NON MONETARIZZATO.

Come esattamente il vostro blog vi porterá vantaggio, che sia economico, morale, sociale, psicologico o addirittura sanitario (chi é creativo innalza l'autostima... e con ció migliora la propria salute) non é stabilito ne previdibile.

Certo é che lo fará. 

Innanzitutto chi leggerá il vostro blog, traendone vantaggio, che sia anche solamente di passatempo, VI APPREZZERÀ. Con tutte le conseguenze che cio puó avere. Infatti non sapete chi oggi, domani o tra 12 anni leggerá le cose che scrivete, fate e mostrate sulle pagine del vostro blog.... Non é escluso che tra i vostri lettori ci saranno persone importanti che vi offriranno un lavoro, che i vostri capi inizieranno a rispettarvi sempre di piú, magari addirittura incrementando il vostro stipendio. (Ed ecco che il blog si é MONETARIZZATO... senza pubblicitá, senza insistere a vendere qualcosa)

Voi stessi poi, attraverso la scrittura dei vostri testi innalzerete enormemente la vostra autostima, nonché darete sfogo alla vostra creativitá. Supponiamo ad esempio che facciate arte, quadri. Nessuno compra i vostri quadri ma voi li pubblicate sul vostro blog, magari descrivendo il processo della loro creazione. Magicamente inizierete a sentirvi un vero artista, affermato e di successo. La vostra autostima sale, e con essa la qualitá dei vostri quadri... che "vai a vedere" prima o poi vengono notati ed addirittura acquistati. Magari finirete su qualche rivista grazie alla vostra assidua presenza in rete.... e magari.... una lettrice di quella rivista...... si innamorerá di voi..... e troverete la donna della vostra vita.

Nulla é certo se non che scrivere un blog migliori il vostro potenziale di sopravvivenza in mille modi, talmente tanti che sarebbe inutile elencarli tutti. 

È importante aggiungere che scrivere un blog, se siete un venditore ad esempio, influisce enormemente sul vostro lavoro. In questo contesto non importa che vendiate mollette per stendini a domicilio mentre nel vostro blog vi occupate di floricoltura. I vostri clienti si informeranno su di voi in internet. Lo fanno tutti. E sapete qual'é l'unico messaggio che trasmetterete a questi clienti se troveranno il vostro blog, ben scritto e frequentemente aggiornato, bello da vedere ed utile da leggere? Penseranno...

mi fido. 

E fanno bene, perché chi é costante merita (ed ottiene) successo


Giancarlo Evangelisti

domenica 21 dicembre 2014

LA STRATEGIA DEL BARONE ROSSO
SPAVENTATE IL VOSTRO AVVERSARIO !

illustrazione in scala 1:72, creata da Gian-Carlo Evangelisti


Quando si pensa al BARONE ROSSO, ovvero al famosissimo asso dell'aviazione Manfred Baron Von Richthofen, la prima cosa che balza alla mente é il suo Fokker dalla livrea inconfondibilmente rossa. 

la domanda che pochi si pongono é : "Potrebbe aver contribuito questa stessa livrea, cosí irrazionale dal punto di vista mimetico, al successo incontrastato del mitico pilota germanico?" 

La risposta é certamente "SI".

Non ci é dato sapere se la scelta di colorare il proprio aereo usando il colore piú irrazionale e pericoloso dal punto di vista bellico, esponendosi immediatamente alla vista del nemico in qualsivoglia condizione, sia dovuta ad un semplice eccesso di vanitá oppure abbia uno sfondo strategico, fatto sta che il BARONE ROSSO ci insegna un'importante strategia.

Questa, applicata alla vita quotidiana, con le sue battaglie e confrontazioni, come anche allo sport oppure al mercatio finanziario,  puó certamente rappresentare la chiave di volta per chi intende cimentarsi in sfide pericolose dirette ad avversari magari anche molto potenti e temibili.

Il "colore rosso" che utilizzeremo per ottenere l'effetto dell'aereo di Von Richthofen e trasportarlo nella vita di tutti i giorni puó essere inteso come UN MODO DI APPARIRE SCINTILLANTE (riguardo a comportamento, linguaggio, e.. ovviamente... abbigliamento)

Se riusciamo infatti a dimostrare il giusto mix di autosicurezza, aggressivitá ed il coraggio di esporci in maniera rigorosamente diversa dagli altri, allora susciteremo nel nostro avversario la stessa reazione che il nostro BARONE ROSSO suscitava nei piloti nemici. Infatti, chi ha di fronte un avversario che NON SI MIMETIZZA, ha sí un bersaglio piú facile da colpire tra le mani, ma sono quellestesse mani che gli tremano a rovinargli la festa. 

Com'é facile evincere dal ragionamento svolto, quelle mani tremano perché é l'inconscio che suggerisce al nostro avversario che se noi abbiamo il coraggio di esporci in maniera cosí spavalda al suo tiro, allora significa che noi non abbiamo paura, perché siamo piú che certi di essere migliori di lui.

In questo modo, comportandovi come il nostro asso dell'aviazione, non solo vincerete molte "battaglie"; ma solitamente non dovrete nemmeno ingaggiarle, poiché i vostri nemici non avranno la tempra di affrontarvi. 

Vi avvicinerete in tal caso all'ideale prospettato da SUN TZU, nella sua famosa opera "L'ARTE DELLA GUERRA", ovvero vincerete le battaglie SENZA COMBATTERE.

Ma ricordate che esporvi troppo al nemico puó sortire anche l'effetto opposto. Infatti, anche il nostro eroe alato fu abbattuto!

In ogni caso fu seppellito dal nemico con tutti gli onori militari. 
  

 

domenica 7 dicembre 2014

PALERMO SICURA 
oppure 
"LA STATISTICA NON VALE PER IL SINGOLO"



In una recente "missione" di lavoro nel capoluogo siciliano, ho avuto modo di riflettere su di alcuni fattori che influenzano le menti della buona maggioranza della popolazione. Il fatto di affidarsi alla statistica, infatti, rappresenta spesso un grande ed ingenuo errore di valutazione. 

Sono i soliti pignoli, matematici per religione, che ritengono che se l'ISTAT decreta che una cittá sia pericolosa, allora quell'informazione significhi al cento per cento che in quella cittá verranno derubati, salvo poi venir scippati in vacanza a Kopenhagen.

Infatti mentre attendo l'imbarco in aeroporto, a Bergamo, sento molti personaggi preoccuparsi della sicurezza che temono di non incontrare una volta atterrati a Palermo. 

È in quel momento che fiuto un'occasione interessante. Voglio mettere alla prova questo stereotipo. Voglio girare a Palermo di notte, a piedi, tra vicoli nascosti e sul lungomare. Voglio chiedere la ricevuta al ristorante e fotografare un po in giro, per poi scrivere un articolo sulla realtá che ho incontrato.

Bene, questo é l'articolo. la ricevuta ce l'ho in tasca ed il ricordo di questa bellissima cittá rimane indelebile nella mia memoria. 


In fase di atterraggio la sicurezza é invece pari a zero:  l'aereo approccia fortemente inclinato la pista di Punta Raisi, qualcosa deve essere andato storto, la gente urla. Vedo l'ala destra che sfiora il bordopista, in un balzo incredibile il pilota corregge la posizione e con un botto infernale l'airbus tocca terra nella peggior maniera che io abbia mai vissuto. 

Considerando che questa situazione potenzialmente letale é avvenuta prima di toccare terra siciliana e per giunta per opera di una nota compagnia aerea irlandese.. sorvolo per quanto possibile sull'accaduto e mentre la gente trema ancora inizio a godermi il nuovo aeroporto di Palermo (veramente una bella costruzione moderna) ed il viaggio in Taxi (non é il carretto della foto) verso il centro. 




Osservo passare accanto alla strada una serie di edifici curati, molto belli, mentre vedo spuntare il mio albergo, in piazza politeama. Notato che l'albergo stupisce per pulizia e curatezza del dettaglio, e che il giorno dopo mi attende del lavoro particolarmente impegnativo, non esito e parto per la mia esplorazione in solitaria di questa misteriosa cittá.


A piedi giungo sul lungomare, dapprima dietro al porto e successivamente sempre avanti, sino alla "cala". per arrivare al lungomare attraverso un quartiere dalle vie strette, vedo gente silenziosa seduta davanti alle case, ma nulla di particolarmente strano. Profumi inebrianti di soffritti di ogni genere giungono al mio olfatto dalle finestre delle case. 



Da qui, comunque il mio percorso mi porta di nuovo verso il centro dove colpito dalla luciditá pulita delle strade mi dirigo verso la stazione. Qui la cittá mostra una brutta immagine. Come tutte le cittá del resto. Tuttavvia ci passo tranquillamente davanti ed intorno,  non riuscendo comunque ne ad essere scippato, aggredito, o molestato in alcuna maniera. 




Cammino, cammino, intanto si fa buio. Riesco ancora a fotografare la bellezza di certi edifici e parchi cittadini, finché un inevitabile ed idilliaco aperitivo seguito da una FANTASTICA pepata di cozze mi costringe a rendermi conto che questa é una cittá che fa per me. 





Le persone sono molto educate e piuttosto silenziose. I camerieri sanno tutti l'inglese e per chi non ci credesse: la gente porta il casco e si ferma con il rosso.

Mentre passeggio verso l'albergo nel buio pesto delle vie di Palermo, soffia ancora quel caldo umido vento di mare che sa di sale,  penso a quanta ignoranza venga generata da statistiche e media vari che inducono immagini completamente distorte del Sud d'Italia, il quale pur non essendo il luogo piu "sicuro" al mondo, in questa sua (oserei dire) "capitale", mi ha accolto offrendomi totale PIACERE.

Scelgo l'ultima stradina, appositamente quella piú buia, per tornare in piazza Politeama. Dietro a me un auto rallenta e prosegue a passo d'uomo. Mi "segue" per un po. Non faccio in tempo ad immaginarmi qualche strano approccio indesiderato quando una ragazza corre dietro alla macchina, la ferma, saluta, e sale per poi partire chissaddove col fidanzatino...

Evidentemente questo aveva mancato l'indirizzo al primo appuntamento.... esattamente come i nostri amici pignoli e statisticomani mancano direttamente il PRIMO APPUNTAMENTO per paura di qualcosa che non sanno nemmeno loro.

Palermo. Una cittá meravigliosa. 



Gian-Carlo Evangelisti