MENO È PIÙ
IL SEGRETO PIÙ TRASCURATO
Fu ormai 15 anni fa, quando, salito sul treno alla stazione di Bolzano, la mia vita si arricchí della piú poderosa e formativa esperienza. Mi stavo dirigendo in piena notte a Torino, dove la mattina dopo mi sarei arruolato nell'Arma dei Carabinieri, iniziando il 243esimo corso della famosa Casema Cernaia.
Poco sapevo rispetto a ció che mi avrebbe atteso una volta arrivato lí, tra quelle mura. Mi sentivo "giá carabiniere"... anche se presto questa convinzione dovette lasciare il posto alla cruda realtá di un addestramento militare non necessariamente tra i piú "soft".
Una volta varcata la soglia della caserma, venni mandato ad attendere in un'apposita saletta. Finalmente mi chiamarono per la "vestizione", per l'immatricolamento, per il radicale taglio dei capelli. Capí che NON ERO ASSOLUTAMENTE "giá carabiniere" e capí anche che questo non sarebbe stato un luogo nel quale rilassarsi, o, peggio atteggiarsi a qualcosa che non fosse consono al mio grado militare, ovvero in quel momento al di sotto dello zero.
I giorni passavano tra una sfida psicologica e l'altra, che sia la sveglia alle sei di mattina, le marce estenuanti in mimetica sotto il sole cocente di un torrido agosto piemontese, le susseguenti file interminabili per giungere finalmente a tavola, dove mi attendevano pietanze piú che semlici, e bevande poco piú gustose dell'acqua.
Il primo mese trascorse tra marce, contrappelli, attese, paura di sbagliare e di essere punito, tredici commilitoni che russavano in camerata e divieto di tutto ció che scandiva la vita di un civile.
Fu proprio in questo periodo, specialmente nel primo mese in cui non lasciammo mai le mura della caserma, che scoprí in me un'attitudine di addattamento che avrebbe segnato per sempre la mia vita.
Ero implotonato sotto il sole dopo una lunga marcia, completamente sudato ed assetato. Ma il Tenente voleva farci un lungo "cicchettone" sul modo in cui marciavamo. Allora tentai di sopportare l'insopportabile, chiudendomi in me stesso e creando un mondo ristretto, interiore, nel quale ero libero. Precisamente mi immaginai che dentro di me, da qualche parte, ci fosse un luogo protetto, piccolo ma sicuro, nel quale con i pensieri potevo muovermi ed ottenere quella sensazione essenziale di libertá che per ovvi motivi nel mondo esteriore mancava e non prometteva di tornare da lí ad un bel po.
Senza farrmi notare estrassi una piccola "pasticca Leone" dalla tasca e la misi in bocca. Si tratta veramente della piú piccola caramella imaginabile, ma il pensiero che sulla scatola in stile ottocentesco vi fosse incisa la frase "DISSETANTE" mi fece convincere che essa poteva darmi sollievo. La sensazione fu fantastica. Gustavo lentamente la caramella e mi immaginavo vividamente che da essa fuoriuscissero fiumi di aranciata. Per la mia gioia, la sensazione che ne derivá fu anche piú intensa rispetto ad ogni bicchiere di aranciata che io avessi mai bevuto.
Capii allora ancora meglio che la privazione permetteva in realtá di accedere a livelli di soddisfazione molto elevati, qualora si presentasse una anche minima parvenza di sollievo, nella vita quotidiana del non-militare completamente trascurabile, come ad esempio una caramellina.
I mesi passarono ed io continuavo ad eseguire tutti gli ordini, spesso realmente impegnativi sia fisicamente che psicologicamente. Ma non li percepivo come tali. La mia mente ormai era saldamente ancorata ad una forma di minimalismo e per di piú, viaggiava oltre i muri di quella caserma, mentre il corpo stava fermo, sotto il sole o la pioggia, con un fucile d'assalto di 5 chilogrammi in mano. Ed in tutto questo, io stavo bene, paradossalmente meglio che nella vita non militare.
Mentre marciavo ascoltavo musica nella mia mente, e mi piaceva, perché il ritmo dei passi la amplificava. Mentre attendevo implotonato all'alzabandiera, iniziai a studiare la psicologia dei miei commilitoni, i quali, ogni tanto svenivano, soprattutto quando non avevano fatto in tempo a fare colazione. Quasi puntualmente, per autosuggestione, dopo il primo, anche altri due, tre, seguivano la sua sorte ed iniziai a pensare sempre piú, ad intravvedere collegamenti che nel "mondo libero" non avevo mai scorto, e la cosa mi divertiva sempre di piú, facendo trascorrere l'intero periodo addestrativo senza alcun problema, alcuna punizione, e molto molto "lavoro intellettuale interiore".
Quando la scuola terminó, e uscimmo per recarci verso i nostri luoghi di destinazione, in treno verso l'Alto Adige c'erano altri 4 Carabinieri del mio corso. Uno aveva un CD-Player, e mi fece ascoltare un pezzo dei QUEEN.
Non esagero se affermo, non avendo piú sentito musica da molto tempo, visto che in caserma i Walkman e radioline erano vietati, ebbi uno scoppio di gioia incredibile, una sensazione divina nel sentire quelle note cosí intensamente nelle mie orecchie.
Pensai ancora per molto a tutto ció, al fatto che in tutti i mesi trascorsi a Torino non avevo nemmeno mai fumato, mai bevuto una birra, e mai, se non durante qualche libera uscita, ammirato qualche bella ragazza.
E notavo come tutte queste cose, comprese le ragazze sulle banchine delle stazioni che attraversavamo, mi apparivano molto molto piú belle di prima, quando tutte queste cose piacevoli erano semplicemente parte della quotidianitá.
Ne deriva che in realtá, MENO È PIÙ. MOLTO DI PIÙ.
Perché quello che abbiamo non aumenta la nostra felicitá in maniera proporzionale alla quantitá e qualitá di ció che possediamo, ma al valore che ad esso viene assegnato dalla nostra mente.
Valore che sará maggiore, ogni volta che ci priviamo di proposito dei nostri vizi, non allo scopo di autocastigarci, ma per accedere ad un livello superiore di felicitá, ogni volta che incontriamo un'altrimenti piccola ed invisibile occasione di provare piacere.
Giancarlo Evangelisti